viernes, 6 de marzo de 2009

RIFLESSIONI DI GRUPPO NANOU

Ciao a tutti, scusate il tardo intervento.
In vista del progetto Interferencias, stimolato dalle richieste di analisi fatte, vorrei sollevare qualche riflessione e “problematica” in rapporto al linguaggio che, come compagnia, stiamo portando avanti. Lavorando insieme da tempo come “gruppo nanou” (io, Rhuena e Roberto) parlo a nome della “compagnia”. Procederò per punti, facendo riferimento all’elenco della mail mandata da Jose:
* Che cosa vogliamo raccontare?
Qui si apre un “baratro”, nel senso che proprio uno dei punti fondamentali della nostra “ricerca” è il “racconto”. Ci stiamo interrogando, ormai da due anni, su cosa sia il “racconto”, soprattutto rispetto alla “storia”. Al momento siamo in una fase in cui preferiamo trovare azioni, situazioni, immagini che siano il residuo di una “storia”, proprio per afferrare il “racconto”. Faccio riferimento alla ricerca iconografica di Hopper, per esempio, che raffigura una situazione drammatica o in attesa di qualcosa che è già avvenuto o che avverrà o che non è ancora avvenuto. Possiamo usufruire solo di un residuo, di una maceria della “storia”.
Faccio anche riferimento alle fotografie di Robert Frank nel progetto “The Americans”, o alle foto di Gregory Crewdson.

* Come costruire e quale sarebbe la trama?
E’ attraverso queste macerie che noi costruiamo gli spettacoli. Non esiste una vera e propria trama, poiché non c’è la “storia”. Possiamo però aprire il racconto attraverso una successione di situazioni che possono indicare una via drammatica che sta più nello spettatore che nel performer.

* Qual è la struttura del racconto?
A questo punto, la struttura del “racconto” la costruiamo per pieni e vuoti, andamenti ritmici, spazialità, desideri e tensioni.

* Ingredienti scenici / audiovisivi /
Altra problematica seria: al punto di ricerca in cui siamo, per affrontare questo “residuo narrativo”, abbiamo scelto di procedere con degli arredamenti. Oggetti capaci di contestualizzare e aprire con più “violenza” squarci narrativi. Abbiamo scelto inoltre di avvalerci di “didascalie”, titoli di “fotografie”, “messaggi” capaci di offrire una rilettura, uno spostamento della situazione offerta dalla scena.

* Da che prospettiva si può affrontare la questione della VIOLENZA (assurdità, vividezza, ecc)
Al momento, stiamo lavorando sulla Violenza intesa come tensione di relazione, come azione “data” e non più “offerta”, “secca”, “netta”, senza “pre” o “post”, priva di “fade-in/fade-out”. Una questione quasi ritmico-compositiva che sta nella relazione fra chi agisce sulla scena. E intendo anche “luce”, “suono” ecc… non solo il performer.

* L'obiettivo: quali saranno le informazioni ricevute da parte del telespettatore
Forse un ambiente? Uno sguardo voyeuristico? Una mimesi? Non riesco mai a definirlo a priori. Posso solo pensare ad una posizione di partenza. Ultimamente sento necessaria un’enorme distanza per trattare un’intimità profonda come la Violenza.

* Quale sarà la durata?
Non più di un quarto d’ora. Tra i dieci minuti e un quarto d’ora. Almeno per la parte che andrà in scena. Sul prodotto video starei anche sotto, pensando all’usufrutto che si ha sul web.

* Devono essere azioni esplicative, illustrative, dimostrative, o intuitive, e definite?
Come avrete capito, non amo l’essere didascalico. Preferisco lasciare uno spazio vuoto in cui lo spettatore possa entrare con se stesso, più che costruire un “oggetto” che si possa “solo” ascoltare.

* Come intervengono gli elementi extra testuali nel prodotto finale? (camera, spazio, clip, lo stile visivo, audio, tecnologia...)Propongo di procedere per “relazioni”, come specificavo prima. E da lì comprendere insieme.
Scusatemi, mi sono profuso in spiegazioni della nostra linea produttiva e di ricerca ma ho ritenuto opportuno partire da lì, un po’ per presentarmi, un po’ per lanciare qualche riflessione e stimolo.
A presto e buon lavoro.
Marco

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